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Iraq. James Steele, l’uomo del mistero e il ‘mago’ della counterinsurgency

‘Dieci anni dopo’, un’inchiesta firmata da Guardian e BBC Arabic fa luce sul ruolo dell’ex-colonello statunitense James Steele in Iraq. La storia dell’esperto di counterinsurgency è ‘ambientata’ durante uno dei capitoli più oscuri dell’occupazione americana e arriva sino in Vietnam.

 

IL ‘MAGO’ DELLA COUNTERINSURGENCY

Steele è considerato un veterano delle cosiddette guerre sporche ed è diventato ‘famoso’ soprattutto per il suo impegno in Vietnam ed El Salvador.

“Intelligente, duro e attento osservatore”, così lo descriveva Donald Rumsfeld (allora ministro della Difesa), in una nota inviata al presidente Bush e al suo vice Cheney.

“E’ un individuo privo di umanità: il gran numero di guerre in cui ha combattutto e i vari tipi di tortura commessi, sia in Iraq che in altre parti del mondo, lo hanno privato di qualsiasi emozione”, ha detto di lui il generale iracheno Muntadher al-Samari.

In Vietnam, James Steele ha ‘familiarizzato’ con le tecniche ‘antiguerriglia’, combattendo nel reggimento dei Cavalli neri. In El Salvador, invece, ha ‘capeggiato’ l’MilGroup, un corpo di consiglieri speciali inviati dagli americani per ‘istruire’ il governo locale su come reprimere la ribellione di sinistra scoppiata nel paese.

“E’ un vero militare, di grande disciplina, sono davvero rimasto molto colpito da lui. (…) Senza il suo consenso, non si muoveva nulla”, ha dichiarato Celerino Castillo, agente speciale dell’esercito regolare di El Salvador.

James Steele è arrivato a Baghdad nel 2003, con l’incarico di consulente del settore energetico per l’amministrazione americana e è rimasto nel paese fino al 2005. Del suo ruolo durante l’occupazione si sapeva poco, almeno fino alla pubblicazione dell’inchiesta di Guardian e BBC Arabic. A documentarne la sua presenza del paese c’era solo un breve filmato youtube e qualche foto.

 

GLI IRACHENI LO FANNO MEGLIO, MA SOTTO LA SUPERVISIONE AMERICANA

Appena dopo l’invasione, gli Stati Uniti iniziano ad addestrare la polizia irachena per quella che pensavano sarebbe stata una transizione pacifica. Ma con l’escalation dell’insurrezione di matrice sunnita, il numero di soldati americani uccisi cresce esponenzialmente, la guerra diviene impopolare e la crisi irachena minaccia la rielezione di Bush.

Fino alla primavera del 2004, la repressione degli insorti era stata principalmente affidata ai militari americani ma con scarso successo.

Perciò, l’amministrazione, messa alle strette, si vede costretta a un cambio di strategia: la creazione di forze ‘speciali’ di polizia composte esclusivamente da iracheni, sotto la supervisione di esperti americani in ‘counterinsurgency’.

La decisione di creare questi ‘commandos‘ viene materialmente presa da Falah al-Naqib, ministro degli Interni iracheno durante il governo di Allawy che, insieme agli americani, decide di ‘abbandonare’ parzialmente il principio di de-baathificazione, mettendo a capo di queste nuove forze di sicurezza degli ufficiali che avevano ‘lavorato’ durante il regime di Saddam, in primis il sunnita Adnan Thabit, che ne diviene il leader.

Secondo l’inchiesta di Guardian e BBC Arabic, più tardi i ranghi di questi commandos speciali vengono integrati anche da milizie sciite, desiderose di ‘dare una lezione’ agli insorti.

L’organizzazione e l’addestramento di queste forze speciali viene affidata a un circolo molto ristretto di ‘esperti americani’ che svolgono principalmente un ruolo di consulenza. James Steele (da civile) ne diventa il capo indiscusso, con il compito di supervisionare le forze locali anti-guerriglia e dirigere la caccia agli insorti.

Sempre l’inchiesta sottolinea come l’ex-colonnello statunitense abbia collaborato quotidianamente con i commandos speciali iracheni, fornendogli liste di individui da catturare e provvedendo ad organizzare il trasferimento dei prigionieri in centri per gli interrogatori gestiti dagli americani.

 

LE PRIGIONI SEGRETE

Per ottenere informazioni sull’insurrezione, vengono istituiti dei centri di detenzione segreti dove le forze speciali di polizia portano gli individui arrestati durante i raid. Secondo il generale al-Samari, le prigioni segrete sarebbe state quattordici o quindici in tutto, sparse in tutto il paese e sotto il controllo del ministero degli Interni.

Gli americani erano a conoscenza di tutto quello che succedeva al loro interno, uccisioni e torture comprese. Il generale (attualmente residente in Giordania) racconta anche di come lo stesso Steele abbia visitato uno di questi centri a Baghdad in sua presenza.

Ottenere informazioni dai detenuti era un’operazione di routine per i commandos speciali iracheni e i loro supervisori americani. I sopravvissuti agli interrogatori hanno rivelato di essere stati sottoposti ai più svariati tipi di abusi come percosse, stupri, minacce con armi da fuoco ed elettroshock.

La città di Samarra, a nord di Baghdad, è stata uno dei più importanti banchi di prova per la nuova strategia di ‘counterinsurgency’ adottata dall’amministrazione americana.

Qui, i commandos e i militari americani hanno istituito un centro di detenzione all’interno della biblioteca principale della città. Il giornalista Peter Maass, che ha avuto l’occasione di visitarlo nel 2004 (mentre alloggiava a casa dello stesso Steele, ndr), scrive: “C’erano circa 100 detenuti accucciati sul pavimento con le mani legate dietro la schiena e la maggior parte di loro erano bendati”.

“Alla mia destra, un ufficiale […] stava picchiando e dando calci ad un prigioniero che giaceva a terra. Sono entrato in una stanza adiacente al corridoio principale, e, al momento del mio ingresso, è uscito un detenuto con il naso sanguinante [..] poi a pochi minuti dall’inizio dell’intervista, un uomo ha cominciato a gridare nel corridoio principale Allah Allah Allah, [..] , e non erano grida di estasi ma urla disperate di una persona impazzita”.

 

L’EPILOGO

Secondo Todd Greetree (ambasciatore americano in El Salvador) esiste un filo rosso che collega le strategie di repressione delle insurrezioni messe in atto dal Vietnam in poi.

Perciò, non deve sorprendere che individui come Steele, associati a quel tipo di guerra e profondi conoscitori di tutti i suoi segreti, ricompaiano in momenti diversi della storia, per mettere la propria ‘expertise‘ a servizo dello Stato.

Steele ha lasciato l’Iraq nel settembre del 2005 e, dopo la sua partenza, i commandos hanno continuato ad operare ed ingrandirsi, arrivando a contare 17.000 membri.

Il Guardian e la BBC Arabic hanno cercato di intervistarlo, ma si è rifiutato. Al microfono del giornalista Peter Maass, avrebbe però dichiarato di essere contrario alle violazioni dei diritti umani.

E sebbene il suo operato in Iraq dimostri il contrario, sarà davvero difficile che quest’uomo diventi oggetto di un’inchiesta giudiziaria. Attualmente, l’ex-colonnello vive in Texas e di tanto in tanto, tiene lezioni universitarie sulle tattiche di counterinsurgency.

 

This article was originally published by: Osservatorio Iraq – Medioriente e Nordafrica