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Egitto. Giù le mani da Port Said: le Green Eagles a difesa della città

Da due mesi le proteste a Port Said si sono riaccese. Al centro delle agitazioni le Green Eagles, il gruppo ultras che sostiene il club calcistico locale al-Masry. Legati alla città e molto strutturati a livello organizzativo, sono ormai un attore centrale delle rivendicazioni e delle lotte locali.

 

La stampa internazionale ha cominciato a parlare di questo gruppo nel febbraio del 2012 quando, in seguito al massacro dello stadio di Port Said, la tifoseria locale è stata accusata di essere la principale responsabile delle violenze.

Tuttavia, le Green Eagles si sono sempre difese, puntando a loro volta il dito contro il regime e dichiarando che, dopo gli scontri nello stadio, molti dei loro leader sono stati arrestati in maniera arbitraria dalle autorità.

Con una sentenza dello scorso 26 gennaio, 21 membri di questo gruppo sono stati condannati a morte proprio per i fatti dello stadio. In seguito all’emanazione del verdetto, i loro compagni hanno guidato le proteste esplose davanti al carcere della città. 

Poi, durante il mese di febbraio, gli ultras di al-Masry hanno detenuto la leadership del movimento di disobbedienza civile che ha interessato Port Said, ricevendo anche il sostegno dei lavoratori.

In un comunicato del 17 febbraio scorso, il gruppo ultras ha dichiarato: “La campagna di disobbedienza civile mira a fare giustizia per i martiri di Port Said, portare davanti al giudice i poliziotti che hanno aperto il fuoco contro i manifestanti inermi, far includere i morti della nostra città  fra i martiri della rivoluzione egiziana ed evitare la politicizzazione del processo in corso”.

Lo scorso 9 marzo, la vicenda giudiziaria relativa al massacro dello stadio si è conclusa con un secondo round di sentenze e la conferma delle 21 condanne a morte per gli ultras di al-Masry.

 

LA REAZIONE

 

In un comunicato riportato da al-Watan, le Green Eagles hanno attaccato i giudici e dichiarato che si tratta di una sentenza “politicizzata”, volta a placare gli animi della tifoseria dell’Ahly, molto temuta dal regime per il suo ruolo nella rivoluzione.

Per la tifoseria di al-Masry, la sentenza è ingiusta e rappresenta uno strumento di ‘oppressione’ nei confronti della loro città e della sua popolazione.

“Noi difendiamo chiunque sia vittima di un’ingiustizia – sia egli ahlawy o masrawy – l’ingiustizia per noi non ha colore (calcistico) e come difendiamo i nostri saremo pronti a difendere gli altri”, hanno scritto le Green Eagles in un post sulla loro pagina Facebook, esprimendo il proprio risentimento per la gioia di parte della tifoseria avversaria alla notizia delle condanne a morte dei loro compagni.

Inoltre, hanno aggiunto, “il regime deve sapere che non può abusare di Port Said o farne un capro espiatorio”.

Gli ultras pretendono il ripristino dei diritti economici per le famiglie dei martiri – i morti durante le manifestazioni e gli scontri di piazza che, se dichiarati ‘martiri della rivoluzione’, hanno diritto ad un sussidio economico per le famiglie – sia per le vittime di una sentenza considerata “ingiusta” (le condanne a morte).

Nei loro comunicati, denunciano la corruzione del regime di Morsi e si scagliano violentemente contro le forze dell’ordine che apostrofano con epiteti poco lusinghieri, come “cani” o “delinquenti”. 

Scendi, partecipa, resisti al sistema”, così si concludono gran parte dei comunicati con cui il gruppo esorta sia i propri membri sia i cittadini di Port Said ad unirsi alle proteste di piazza.

 

PORT SAID: TRA CALCIO E POLITICA

 

Il gruppo ultras Green Eagles, anche conosciuto con l’acronimo UGE,  nasce nel 2009 a Port Said. Conta oltre 2000 membri, tutti supporter del club calcistico locale, l’al-Masry, fondato a sua volta nel 1919.

Questa squadra, il cui nome in italiano significa ‘l’egiziano‘, fu fondata come “espressione del nazionalismo, in seguito al movimento contro l’occupazione britannica guidato da Saad Zaghloul”. 

Fu il primo club egiziano attivo nella città perché il panorama calcistico, fino a quel momento, era stato dominato dai team delle comunità straniere residenti intorno al Canale di Suez. A dare vita ad al-Masry furono i lavoratori egiziani, sotto la guida del sindacalista Moussa Effendi.

Secondo al-Masry al-Youm, il supporto delle Green Eagles non è confinato al club calcistico locale, ma si estenderebbe a tutta la città di Port Said, con cui il legame emotivo e politico è fortissimo.

Non a caso il motto principale di questo gruppo è “Eredi del 56”, che richiama il ruolo eroico svolto dalla città in quell’anno contro l’aggressione tripartita di Francia, Regno Unito ed Israele in seguito alla nazionalizzazione del Canale di Suez da parte dell’ex-presidente Nasser.

Gli Ultras non solo partecipano a tutte le partite del club calcistico locale (sia in casa che in trasferta) ma organizzano anche una festa ogni anno per celebrare gli eventi del ’56 con fuochi d’artificio, graffiti, canti e slogan che fanno parte del loro repertorio. 

Anche se sicuramente il più importante per dimensione e organizzazione, non è il solo gruppo ultras operante nella città: nel 2010 infatti si è costituita un’altra corrente, i Masrawy, che sostengono sempre al-Masry e siedono nel ‘elmodarragh elgharbi‘ (traducibile nella nostra espressione “curva nord”) con le Green Eagles.

 

L’ATTIVISMO ON-LINE E IN PIAZZA

 

Gli ultras di al-Masry sono molto attivi in rete, soprattutto sui social network. La loro pagina Facebook principale è seguita da quasi 60 mila persone, e oltre ad essere aggiornata frequentemente è corredata da tantissime foto di manifestazioni. Il gruppo ha anche un suo canale Youtube.

Analizzando i post pubblicati, ci si accorge della sua importanza a livello organizzativo, con comunicati che segnalano l’ora e il luogo di tutte le assemblee e manifestazioni degli ultimi mesi.

L’identificazione del gruppo ultras con la città di Port Said è molto radicata e, come nota il quotidiano al-Masry al-Youm, la ‘rivoluzione’ di cui parlano è focalizzata sui problemi locali piuttosto che avere un respiro nazionale.

Un membro del gruppo che ha chiesto di rimanere anonimo avrebbe dichiarato: “La nostra rivoluzione è contro l’oppressione che il regime pratica verso Port Said in maniera particolare (…). La sentenza di morte emessa dal giudice non è solo contro il nostro gruppo ultras ma contro tutta la città (…), tutti i componenti delle ‘Aquile Verdi’ sono Saidi, non c’è nessuno fra i membri che provenga da altre parti dell’Egitto”.

Il caso giudiziario dello stadio di Port Said ha creato un baratro fra questa città e la capitale. I cittadini si sentono non solo marginalizzati ma addirittura presi di mira dal regime. E gli ultras locali sono i veri portavoce di questo sentimento che è però profondamente diffuso in tutta la società.

Le Green Eagles sono diventate un attore politico fondamentale a livello locale, molto sensibile alle rivendicazioni e alla sete di giustizia della cittadinanza. Svolgono un ruolo centrale nell’organizzazione delle manifestazioni e sono sempre in prima linea negli scontri e nelle marce.

Tuttavia, son ben lontani dall’aver articolato un’agenda politica strutturata e, secondo alcuni analisti, durante la campagna di disobbedienza civile, il coordinamento con le altre forze politiche (come i sindacati e le istituzioni economiche) è stato debole. 

Inoltre, fare dei martiri il tema principale delle proteste senza dare spazio ad altre questioni sociali importanti è stato forse roppo restrittivo.

 

This article has been originally published by: Osservatorio Iraq – Medioriente e Nordafrica

Egitto. Non solo calcio: gli Ultras da tifoseria ad attore politico

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La scorsa settimana Port Said è tornata ad essere l’epicentro di nuove proteste. Nonostante lo stato di emergenza imposto da Morsi, i cittadini sono scesi in piazza, sfidando il coprifuoco. Al centro della mobilitazione, gli ultras del club calcistico locale, il Masry.

 

I manifestanti contestano all’attuale governo non solo di aver marginalizzato la città ma anche di averne fatto un ‘capro espiatorio’. Dopo essersi uniti ai lavoratori, hanno bloccato le attività di molte fabbriche intorno al Canale di Suez, snodo economico di estrema importanza per l’economia egiziana.

 

GLI ULTRAS E L’IMPEGNO POLITICO

Circa un mese fa, gli ultras sono scesi in piazza in tutte le principali città egiziane per commemorare il secondo anniversario della caduta del regime. In questa occasione, la Fratellanza ha chiarito che il governo Morsi è molto preoccupato dalla ‘politicizzazione’ delle tifoserie e incoraggia i media e i partiti politici a non incitarli verso “comportamenti sovversivi e all’uso della violenza”.

Tuttavia la loro centralità nelle manifestazioni di piazza è un fatto noto. 

Sin dall’inizio della ‘Primavera araba’, gli ultras hanno giocato un ruolo fondamentale negli scontri come per esempio nella famosa ‘battaglia dei cammelli’. Anche dopo i fatidici diciotto giorni che hanno preceduto la caduta del regime, hanno continuato a stare a fianco dei manifestanti durante tutto l’interregno militare dello SCAF. Per esempio, si sono distinti in episodi piuttosto sanguinosi come la battaglia di Mohammed Mahmud Street.

Il 2 febbraio 2012, in seguito alla partita di calcio Ahly contro Masry, le due tifoserie si sono scontrate causando incidenti che hanno ucciso settantaquattro persone, per la maggior parte ultras dell’Ahly (detti anche Ahlawy). 

Secondo alcuni testimoni oculari, le forze dell’ordine non sono intervenute e, per di più, durante i tafferugli le luci dello stadio sono state ‘misteriosamente’ spente e le porte sbarrate.

In virtù del ruolo giocato dagli ultras dell’Ahly nelle proteste contro il regime di Mubarak, molti hanno ipotizzato che, dietro alla violenza, vi fosse la mano del governo e la volontà di punire chi era stato in prima linea durante le manifestazioni. La storia del movimento Ultras

Il movimento degli ‘ultras’ nasce on-line nel 2005 ed inizialmente, prende vita intorno ai due principali club calcistici cairoti: Ahly e Zamalek. I giovani egiziani delle periferie (molto spesso intorno ai vent’anni) ne sono protagonisti assoluti, con una partecipazione femminile praticamente inesistente.

All’interno di questo “movimento”, non ci sono correnti di stampo ideologico (sul modello degli ultras europei) ma a fare da collante è l’opposizione alla repressione delle forze dell’ordine ed alla corruzione del sistema giudiziario.

Assolutamente ‘indipendenti’ rispetto alla dirigenza dei club calcistici, gli ultras si identificano con una vera e propria sub-cultura che, a livello musicale, trova espressione in un genere ibrido, nato dalla contaminazione fra hip hop e melodie arabe.

Gli scontri fra ‘tifoseria’ e polizia egiziana hanno inizio nel 2009 con l’arresto di alcuni ultras per aver tentato di aprire uno striscione pro-Palestina che condannava l’invasione israeliana di Gaza.

Da allora le forze dell’ordine hanno cercato di mettere a tacere questo movimento in tutti i modi, spesso ricorrendo all’intimidazione e alla violenza. Non di rado decine di ultras sono stati arrestati alla vigilia di un’importante evento calcistico per poi essere rilasciati il giorno successivo al match.

L’esperienza maturata in anni di scontri con le forze dell’ordine è stata una delle ‘risorse’ che ha reso gli ultras protagonisti della ‘Primavera egiziana’, ponendoli sempre in prima linea durante le proteste con un gran numero di vittime e feriti gravi.

Secondo Carlo Rommel (dottorando alla SOAS), mentre alcuni attivisti li idealizzano per il ruolo avuto durante i 18 giorni precedenti alla caduta del regime, altri li guardano con diffidenza, giudicandoli privi di una coscienza politica.

Ciononostante è innegabile che siano una parte estremamente significativa del ‘fronte rivoluzionario’ nazionale.

Secondo il blogger James Dorsey, gli ultras sono stati la prima ‘organizzazione’ che ha osato sfidare la polizia egiziana sotto Mubarak e questo ha permesso ad un gran numero di giovani poveri, arrabbiati e senza troppa speranza nel futuro di aderire al loro progetto. Come il movimento dei lavoratori ha opposto resistenza al governo Mubarak nelle fabbriche, gli ultras lo hanno fatto negli stadi, entrambi nel tentativo di strappare lo spazio pubblico alla repressione e al controllo del regime.

Oggi, gli ultras sono presenti in tutte le principali piattaforme virtuali e le loro pagine Facebook e Twitter sono seguite da migliaia di fan.

“La nostra battaglia per ottenere giustizia è in atto e continuerà finché tutti i poliziotti e militari che hanno commesso degli abusi contro di noi saranno  processati”, ha dichiarato in un’intervista ad al-Ahram Said, uno dei capi degli ultras Ahlawy.

Per ora i ‘tifosi’ continuano a ‘difendere’ la rivoluzione sul campo a colpi di molotov, ma fare previsioni sull’esito della ‘transizione’ egiziana è difficile, così come è difficile immaginare il posto che gli ultras prenderanno nel futuro sistema politico del paese.

Inoltre, secondo Mohamed Gamal Basheer (autore di ‘gli ultras e la rivoluzione egiziana’), il fenomeno delle tifoserie politicizzate non è una prerogativa solo egiziana. In base alla sua ricostruzione, l’idea della tifoseria calcistica organizzata compare nel mondo arabo negli anni settanta.

All’inizio i gruppi erano molto legati alla dirigenza dei club ma gradualmente si sono resi indipendenti. Il primo ‘nucleo’ ultras del mondo arabo nasce in Libia nel 1989 ma viene sciolto da Gheddafi solo dopo due settimane.

Nel 1990 gli ultras fanno una breve apparizione in Tunisia, per poi prendere piede in Marocco (nel 2005) e in Algeria (nel 2007).

E come dimostra il caso egiziano, non di solo calcio si tratta. Gli ultras infatti, anche se privi di un programma dettagliato, sono ormai diventati a tutti gli effetti un attore politico di primo piano.

Piuttosto che incarnare un’ideologia definita, esprimono il ‘malessere diffuso’ di una generazione e hanno un ruolo importante nella transizione verso la democrazia.

 

This article was published originally in: Osservatorio Iraq – Medioriente e Nordafrica