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Guantanamo e le promesse tradite di Obama

Appello di Amnesty International ad Obama. L’organizzazione internazionale chiede al presidente americano di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale e di chiudere Guantanamo. Ma a pochi giorni dall’inaugurazione del nuovo mandato, questa ipotesi appare poco probabile, almeno per il 2013.

 

Il 2 gennaio scorso Obama firmava il National Defence Authorization Act, una legge federale relativa alle spese militari e di difesa, che proibisce almeno per tutto il 2013 il trasferimento dei detenuti di Guantanamo sul suolo statunitense, riconfermando la legalità della detenzione senza limiti di tempo, e in assenza di un processo o di un’accusa.

“Il fatto che firmi questa legge non significa che appoggi totalmente il suo contenuto” ha spiegato il presidente, imputando la responsabilità del suo gesto alle continue pressioni esercitate del Congresso.

La ratifica è avvenuta prima della cerimonia di inizio mandato e, secondo Anthony Romero – a capo della American Civil Liberties Union – grazie a questa legge, Guantanamo resterà aperta almeno per un altro anno.

Inoltre, secondo le dichiarazioni dell’avvocato David Navin, nel 2012 l’amministrazione americana avrebbe speso ben 730.000 dollari per costruire un campo di calcetto all’interno della struttura carceraria, migliorare la qualità della connessione internet e aumentare il numero delle abitazioni.

Spese che rendono la chiusura del carcere ancora più improbabile, quantomeno nel breve periodo.

Qualche giorno dopo, l’8 gennaio, Obama nominava John Brennan direttore della CIA. Lo stesso Brennan che era stato tra i candidati favoriti già nel 2009, quando però fu costretto a ritirarsi a causa delle polemiche scatenate dal suo presunto appoggio alla pratica degli “interrogatori rinforzati” praticati sotto l’amministrazione Bush.

E se durante il suo primo mandato, il leader democratico si è limitato ad affidargli l’incarico di consigliere nella lotta al terrorismo (una posizione che non richiede alcuna conferma politica da parte del Congresso), oggi, a quattro anni di distanza, ne ha riproposto la candidatura, a dispetto dell’opposizione dell’American Civil Liberties Union.

Organizzazione che con un appello al Senato ha sostenuto la necessità di indagare sul ruolo ricoperto dall’ex-agente rispetto a torture, abusi, prigioni segrete ed extraordanary rendition. Brennan che è anche uno dei massimi sostenitori dell’utilizzo dei droni.

 

OBAMA E GUANTANAMO: UNA PROMESSA TRADITA

Nel 2008, Obama aveva fatto della chiusura di questa struttura detentiva uno dei punti di forza della sua campagna elettorale. In realtà, anche il presidente uscente Bush e l’allora candidato repubblicano McCain avevano usato questa stessa promessa per riscuotere il consenso dei loro elettori.

E all’inizio del suo primo mandato il presidente ha effettivamente emanato un executive order che autorizzava la chiusura del carcere, con l’obiettivo di chiudere definitivamente “uno dei capitoli più tristi della storia americana”.

Obiettivo che doveva essere raggiunto – secondo i piani del leader democratico – attraverso l’istituzione di una task force incaricata di giudicare i detenuti caso per caso, in modo da decidere se rimpatriarli, sottoporli al giudizio di una corte civile statunitense o tenerli in carcere senza stabilire un limite preciso di tempo per il loro rilascio.

In base al lavoro della commissione, l’amministrazione americana ha poi rilasciato 84 dei 250 prigionieri rinchiusi a Guantanamo, stabilendo però che 48 di loro, pur non potendo essere processati, sarebbero dovuti rimanere dietro le sbarre per un periodo di tempo imprecisato – e comunque sino alla fine delle ostilità – perché “troppo pericolosi per venir rimpatriati o trasferiti”.

L’opposizione del Congresso ha però giocato un ruolo cruciale. Attraverso l’approvazione di emendamenti a leggi sulla difesa, Camera e Senato sono riusciti a contrastare il trasferimento dei detenuti sul suolo statunitense. E la prigione è rimasta aperta.

Ciononostante, nel 2010 il suo iniziale impegno a favore della chiusura del carcere gli è valso un Nobel (preventivo) per la Pace, accolto dall’inquilino della Casa Bianca con un discorso incentrato nuovamente sul ruolo-guida degli Stati Uniti nel rispetto dei diritti umani su scala globale, perché – ha sostenuto Obama – è proprio “questo che ci contraddistingue dai nostri avversari”.

 

GUANTANAMO 2013

Secondo i calcoli della giornalista Carol Rosenberg, Guantanamo è una delle prigioni più costose al mondo: ogni anno e per ogni prigioniero i contribuenti americani pagano fino 800.000 dollari. Una cifra che supera di ben 30 volte il costo di un detenuto di un qualsiasi altro carcere situato sul suolo statunitense.

Oggi Guantanamo ospita 166 persone, di cui solo 36 accusate di terrorismo.

Durante gli undici anni di attività, Guantanamo ha però ‘accolto’ almeno 779 individui, la maggior parte dei quali ha trascorso all’interno della struttura diversi anni, senza garanzie di un processo equo e, in molti casi, senza una vera e propria accusa.

Tanti i tipi di tortura praticati durante gli interrogatori: tra il waterboarding e l’impiego di cani, dal 2002 (anno di apertura) sono nove i detenuti che hanno perso la vita, sette quelli suicidi.

Attualmente sono ancora sei le persone che attendono di essere giudicate per gli attacchi dell’11 settembre 2001 da una commissione militare che deciderà delle loro vite e che, soprattutto, ha ancora il potere di condannarli a morte nonostante le loro dichiarazioni siano state rilasciate sotto tortura.

Sebbene Obama abbia sempre dichiarato di aver “ereditato” la guerra al terrorismo dall’amministrazione Bush (ricordiamo che la parola chiave della sua prima campagna elettorale è stata “cambiamento” e che il presidente aveva promesso, fra le altre cose, di riportare la lotta contro al-Qaeda nel quadro del diritto internazionale), nella realtà il presidente non ha fatto nulla per abbandonare alcune delle politiche più controverse adottate dal suo predecessore, come la detenzione senza limiti di tempo e l’utilizzo delle commissioni militari.

Inoltre, sempre sotto la sua (prima) presidenza, si è registrata un’escalation di omicidi mirati, condotti per mezzo di droni. In questi ultimi cinque anni, l’amministrazione americana ha inaugurato une vera e propria ‘caccia’ ai terroristi o presunti tali, colpendo direttamente paesi come Pakistan, Afghanistan, Sudan e Yemen.

Secondo i dati di al-Jazeera, solo in Pakistan si conterebbero oltre 1500 vittime di attacchi, fra cui molti civili. Dati che gettano più di un’ombra sulle reali intenzioni di Obama, soprattutto dal punto di vista morale.

Spesso le circostanze di questi omicidi sono ignote e la fondatezza delle accuse non dimostrata attraverso un processo.

Non è chiaro dunque come l’impegno del presidente per la chiusura di Guantanamo sia conciliabile con quanto sancito dal diritto internazionale, dal momento che l’attuale amministrazione sembra incline ad uccidere direttamente i presunti terroristi piuttosto che accollarsi l’onere di catturarli, mantenerli ed eventualmente processarli davanti ad una commissione militare.

Ma Obama e il suo circolo di consiglieri rifiutano questa interpretazione e spiegano la scelta di affidarsi agli aerei senza piloti con l’impossibilità di catturare gli affiliati ad al-Qaeda in luoghi remoti e tribali.

 

OBAMA COME BUSH?

Guantanamo è diventato un simbolo di portata globale della violazione dei diritti umani in nome della sicurezza nazionale. Un simbolo che sembra duro a morire: secondo Jennifer Daskal, consulente nella lotta al terrorismo di Human Rights Watch, per Obama “la chiusura di questo carcere rappresenta tutt’altro che una priorità, almeno nel breve periodo”.

Due invece i passi in avanti che vanno assolutamente fatti: primo, trovare un luogo sicuro dove i detenuti che sono stati giudicati innocenti possano essere trasferiti. Secondo, stimolare un serio dibattito politico sulla fine della ‘guerra al terrore’.

Serve la definizione di un obiettivo che, una volta raggiunto, permetta alla Casa Bianca di dichiarare finite le ostilità e tutte quelle violazioni dei diritti umani e delle libertà civili compiute proprio in nome della loro difesa.

In conclusione, sebbene la chiusura del carcere sembri poco probabile (almeno per quest’anno), da sola non basterebbe comunque a riabilitare gli Stati Uniti e, più specificamente, l’amministrazione Obama nel ruolo di paladina dei diritti umani. Sotto la sua presidenza la guerra al terrorismo ha cambiato pelle, ma le violazioni del diritto internazionale continuano a essere sotto gli occhi di tutti.

 

This article has been originally published by: Osservatorio Iraq – Medioriente e Nordafrica