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Egitto. La paura bussa alla porta

Dopo la deposizione di Morsi, una nuova ondata di violenza a sfondo confessionale ha travolto l’Egitto. A lanciare l’allarme è l’organizzazione internazionale Human Rights Watch.

Con un rapporto pubblicato martedì scorso, la Ong ha fatto luce sulla catena di violenti attacchi subìti dalla comunità copta a partire dal 3 luglio 2013.

Con l’uscita di scena dell’ex-presidente, le aggressioni contro i cristiani si sono moltiplicate in tutto il paese, colpendo sei governorati, fra cui Luxor, Marsa Matrouh, Minya, il Sinai settentrionale, Port Said e Qena.

Il bilancio complessivo è di sette morti e undici feriti, tre chiese attaccate (di cui due bruciate) e ventiquattro proprietà private distrutte.

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Egitto: la stretta (finale) sulle Ong

A scatenare le paure degli operatori del settore sono stati due provvedimenti: un nuovo disegno di legge – proposto da un consiglio della Shura a maggioranza islamista – e una lettera firmata da Morsi. Nell’Egitto post-Mubarak, anche la libertà di associazione è costantemente in pericolo.

 

LE INIZIATIVE DI MORSI

Il disegno di legge per la riforma del settore relativo alla gestione delle Ong è attualmente in discussione presso la Camera alta del Parlamento egiziano. Ma la stampa internazionale e quella locale l’hanno già fortemente criticato, giudicandolo troppo ‘severo’, soprattutto in materia di finanziamenti esteri, con un linguaggio fin troppo ‘vago’ che lascerebbe spazio a interpretazioni restrittive del suo contenuto.

La bozza in questione permette alle organizzazioni di operare solo in due settori: sviluppo e welfare, mentre vieta esplicitamente tutte le attività politiche e sindacali o che in qualche modo siano suscettibili di minacciare l’unità nazionale, l’ordine pubblico e la morale.

In base al testo, la cooperazione con gli enti stranieri è ammessa esclusivamente sotto lo stretto controllo del governo.

I finanziamenti provenienti dall’estero sono invece proibiti (sia nel caso in cui arrivino da enti egiziani che stranieri), salvo previa approvazione di un comitato di coordinamento composto da rappresentanti di alcuni ministeri, della banca centrale e dell’agenzia per la sicurezza nazionale che agiranno in coordinamento con il premier e con gli altri soggetti competenti.

Secondo il presidente del comitato giuridico del partito di Libertà e Giustizia, tali restrizioni sarebbero volte ad impedire che le organizzazioni non governative “agiscano contro gli interessi nazionali (dietro finanziamento estero) o siano usate per il riciclaggio di denaro sporco”.

La legislazione attualmente in vigore prevede infatti che il nullaosta per ricevere soldi dall’estero debba arrivare solo dal ministero per gli Affari sociali. Invece, con l’approvazione della nuova bozza, questo ‘processo’ si complicherebbe sia per l’entrata in gioco di attori non governativi sia per il controllo del flusso di denaro secondo dei ‘principi di sicurezza”.

Mohammed al-Ansari, avvocato presso l’Istituto del Cairo per gli studi sui diritti umani, sottolinea come le clausole relative ai fondi esteri mirino a far chiudere molte delle Ong attualmente operative nel paese: “E’ risaputo che la maggior parte di queste riceve denaro estero”, ha dichiarato ad al-Misr al-Youm.

Un’altra criticità di questa proposta di legge è legata alla forte interferenza governativa nelle attività delle organizzazioni. E’ previsto, per esempio, che il governo (attraverso un organo ad hoc) ‘ispezioni’ a suo piacimento i locali delle associazioni e ne controlli i registri, per assicurarsi della legalità delle loro attività.

Inoltre, un commercialista iscritto all’albo sarà incaricato di preparare un report annuale sulle attività finanziarie delle organizzazioni per sottoporlo al controllo del ministero per gli Affari sociali.

Infine, i soldi delle Ong andranno depositati esclusivamente in banche egiziane e il testo della bozza stabilisce delle procedure molto restrittive per il loro ritiro e le finalità del loro uso.

Dunque, se la proposta di legge dovesse essere davvero approvata, le organizzazioni straniere dovranno prima siglare un accordo con il ministero degli Esteri, e poi sperare che il collega che siederà agli Affari sociali non gli revochi la licenza.

A un primo esame del testo, il consiglio della Shura l’ha giudicato conforme alla nuova Costituzione e il governo ha messo in chiaro che il contenuto sarà ‘perfezionato’ con la consultazione di alcuni rappresentanti del settore nongovernativo.

 

LA REAZIONE DELLA SOCIETÀ CIVILE

Secondo una stima della stampa egiziana, se il provvedimento dovesse essere approvato, saranno circa 40 mila le Ong che dovranno sottoporsi a una ‘ristrutturazione’ interna per allinearsi a quanto previsto dalla nuova legge.

Questo problema toccherà per esempio le organizzazioni non governative con lo status giuridico di ‘fondazioni’ che, in base al nuovo testo, dovranno disporre di un capitale di almeno 250 mila sterline egiziane.

Rispettare questo requisito sarà molto difficile sia per la criticità dell’attuale momento economico sia per le recenti restrizioni sui finanziamenti esteri. Ed è per questo che in molti hanno fatto sentire la propria voce: sul sito dell’Istituto del Cairo per i diritti umani, 22 Ong hanno sottoscritto una petizione contro “le tendenze autoritarie di Morsi e il suo governo”.

Così come anche Amnesty International si è schierata dalla loro parte e, in un comunicato della scorsa settimana, ha dichiarato: “Esortiamo le autorità egiziane a garantire che ogni nuova legge in materia […] sia conforme al diritto internazionale, rispetti le tutele alla libertà di espressione e di associazione e sia fondata su consultazioni trasparenti con le organizzazioni per i diritti umani”.

Sempre Amnesty, ancora la settimana scorsa, aveva lanciato l’allarme sulla lettera inviata dal governo Morsi all’Organizzazione egiziana per i diritti umani, denunciandone il contenuto.  

Nella missiva, il presidente spiegava come tutti i contatti tra le Ong locali e le ‘entità internazionali’ sarebbero stati proibiti in assenza dell’autorizzazione degli organismi di sicurezza, laddove quel generico ‘entità internazionali’ potrebbe riguardare anche le agenzie delle Nazioni Unite e non solo.

Alcuni hanno addirttura ipotizzato che questo ‘divieto di comunicazione’ con l’esterno sia volto a controllare in modo più serrato la società civile durante il periodo pre-elettorale (le elezioni per la Camera bassa del Parlamento si  terranno il prossimo aprile).

 

MUBARAK, LO SCAF E LA LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE

A due anni di distanza dalla rivoluzione del 25 gennaio, la libertà di associazione è ancora disciplinata da una legislazione approvata durante il regime di Mubarak. Difatti, visto che il Parlamento eletto nel 2011 è stato sciolto proprio poco prima di riuscire a cambiare la normativa, attualmente restano in vigore la legge n. 84 del 2002 sulla libertà di associazione e il regolamento n. 178 che ne chiarifica il contenuto nei dettagli.

Questa legislazione conferisce ampi poteri discrezionali al ministero degli Affari Sociali. Per esempio, ogni organizzazione che desideri aprire i battenti deve preventivamente chiedergli una sorta di ‘permesso’.

Ma spesso accade che il ministero si rifiuti di concederlo o addirittura non risponda affatto.

Sotto Mubarak, il lavoro delle ong era tollerato nella misura in cui il loro operato non avesse una valenza politica e rispettasse le ‘linee rosse’ stabilite dal regime. Era imperativo, dunque, lavorare su dei ‘temi circoscritti’ come l’ambiente o il welfare, stando attenti a non parlare in maniera diretta di riforme.

Con la caduta del regime, la situazione di questo settore non è migliorata e, a partire dal luglio 2011, le organizzazioni non governative sono state prese di mira dal governo militare dello SCAF.

Dapprima al centro di ‘indagini’ sulla provenienza dei fondi e poi, nel mese di dicembre, oggetto di veri e propri raid delle forze dell’ordine, a cui sono seguiti 43 arresti (di dipendenti delle ong).

Nel febbraio 2012, 16 egiziani e 27 stranieri (fra cui il figlio di un ex-ministro statunitense) sono finiti davanti al giudice, con l’accusa di aver usato fondi stranieri illegali per ‘fomentare’ il caos nel paese.

La ‘mossa’ del governo militare ha suscitato le critiche della comunità internazionale e gli Stati Uniti hanno addirittura minacciato di ‘rivedere’ gli aiuti economici (che ammontano a circa 2 miliardi di dollari ogni anno).

Secondo Human Rights Watch, da allora molti finanziamenti sono stati bloccati, provocando sia il congelamento di progetti già in programma che il licenziamento di molti dipendenti.

Per esempio, l’organizzazione ‘New Women Foundation’ ha fatto causa al governo perché, a causa dei ‘tagli’, non è stata in grado di portare avanti alcune delle sue attività.

Da Mubarak a Morsi, la tutela della libertà di associazione non sembra essere una priorità per il governo egiziano. Al contrario, il controllo del settore non governativo rimane indispensabile al mantenimento della ‘stabilità’ del sistema politico.

Se la proposta di legge attualmente in discussione verrà approvata, molte ong rischieranno di chiudere i battenti per insufficienza di fondi e la morsa del controllo governativo sulla società civile diventerà ancora più serrata.

This article has been originally published by: Osservatorio Iraq – Medioriente e Nordafrica