Tagged in: Militari

Egitto. Il ritorno dei militari?

A due anni dalla rivoluzione del 25 gennaio 2011, un gruppo di veterani dell’esercito ha fondato “volontà e costruzione”, un nuovo partito politico. Deliberatamente schierato contro Morsi, si propone di risanare radicalmente il paese strizzando l’occhio ad un potenziale intervento dei militari.

 

‘Siamo scesi in campo per cercare di arrestare il declino a cui l’Egitto sta andando incontro […] perché abbiamo capito che le manifestazioni, le apparizioni televisive e le dichiarazioni sui giornali non sono sufficienti a salvare il paese’, ha dichiarato il generale Muhammed Okasha.

Il partito è nato ufficialmente lo scorso marzo dall’idea di cinque ufficiali dell’esercito in pensione, stanchi – a loro dire – di assistere al continuo deterioramento della situazione politica ed economica.
Già eroi della guerra dello Yom Kippur e supporter attivi delle manifestazioni contro Mubarak, hanno deciso da più di un anno di dare vita a una loro formazione politica con l’obiettivo di farla diventare la prima del paese.
Infatti, ‘dopo la rivoluzione non è cambiato nulla: i poveri continuano a mangiare spazzatura e il ceto medio è privo di diritti. Da quando i Fratelli Musulmani sono saliti al potere, la situazione è peggiorata in modo pericoloso’, ha dichiarato uno dei fondatori, il generale Abdul Rafa’a Darwish, ai microfoni di al-masry al-youm.
Sul piano teorico, i membri di ‘volontà e costruzione’ si propongono di creare un partito fortemente inclusivo che lotti per i diritti delle fasce più deboli della società, come i giovani, le donne e i copti.
Su quello pratico invece hanno un piano piuttosto elaborato che prevede la rimozione di Morsi attraverso l’intervento dell’esercito e la temporanea consegna del potere dapprima (per sessanta giorni) al vertice dell’Alta corte costituzionale e in seguito a un comitato presidenziale composto da cinque membri (due economisti, un rappresentate dell’università islamica al-Azhar, uno della chiesa copta e un militare).
Secondo il loro ‘progetto di salvataggio del paese’, la Costituzione andrebbe riscritta sulla base dei principi della carta del 1971 e della dichiarazione costituzionale del marzo 2011, mentre la transizione servirebbe ad organizzare nuove elezioni presidenziali e parlamentari.
“Daremo il nostro supporto a un’iniziativa militare (per rimuovere Morsi) […] esclusivamente volta a proteggere il paese, non a governarlo di nuovo”, ha messo in chiaro il generale Muhammad Okasha.
Ma non tutti i membri sembrano completamente d’accordo su questo punto, e alcuni sottolineano che nella fase attuale un ‘colpo di Stato’ dei generali sarebbe percepito in maniera negativa dalla comunità internazionale e potrebbe addirittura aprire la porta all’intervento occidentale nel paese.
“Nessuno rimuoverà nessuno” ha dichiarato il capo delle forze armate Abdul Fatah Al-Sisi sabato scorso, sottolineando che la risposta all’attuale crisi politica non sta nelle armi ma nelle urne.
Secondo al-Monitor, lo scarso consenso di cui gode attualmente la presidenza Morsi rappresenterebbe un’occasione imperdibile per ‘volontà e costruzione’ a livello elettorale, soprattutto se il partito sarà in grado di ‘capitalizzare’ sulla popolarità e la fama delle forze armate con cui il legame è molto forte.
“La nostra relazione con l’esercito è cristallina, noi siamo ‘figli’ di questa istituzione che è fra le più importanti del paese. Ma questo non significa che i militari ci supportino direttamente perché noi siamo un partito politico ‘civile’ al servizio della società, anche se rispettiamo in pieno il ruolo e la storia delle forze armate”, ha dichiarato uno dei fondatori.
MORSI E L’ESERCITO
In un paese dove il primo presidente civile è stato eletto dopo più di mezzo secolo di storia repubblicana, l’esercito conserva un peso enorme nella vita economica e politica.
Per chiunque si appresti a guidare la transizione (e a fare delle riforme), lo scontro con quest’istituzione è inevitabile.  
Dopo la salita al potere, Morsi ha cercato in ogni modo di ‘accontentare’ le forze armate,  promuovendo una nuova costituzione che ne garantisse l’autonomia e i privilegi.
Per esempio, ha assegnato la carica di ministro della difesa a un militare, stabilendo che il budget dell’esercito non passi più per il parlamento ma venga approvato direttamente dal Consiglio nazionale della difesa (supervisore, tra l’altro, di tutti i rapporti finanziari fra forze armate e gli Stati Uniti).
Ma nonostante questa politica di compensazione e compromesso, non tutti nell’esercito sembrano ‘soddisfatti’ dalle politiche del nuovo presidente.
E la nascita di un partito come “volontà e costruzione” potrebbe essere un segnale del malcontento che serpeggia in questi ambienti.

This article has been originally published by: Osservatorio Iraq – Medioriente e Nordafrica