Iraq. La storia di Zaid: da pacifista a partigiano della resistenza

In “Perché uccidi, Zaid?”, lo scrittore tedesco Jürgen Todenhöfer racconta la sua versione della storia della resistenza irachena all’occupazione americana, a partire dalla vita di un giovane studente pacifista. 

 

LA STORIA DI ZAID

Zaid ha ventidue anni e vive nella provincia di Ramadi quando gli Stati Uniti invadono il suo paese, nel 2003. Il ragazzo decide di non unirsi alle file della ‘resistenza’, preferendo continuare i suoi studi.

Tre anni dopo, gli americani uccidono il più piccolo dei suoi due fratelli, mentre gran parte degli amici d’infanzia impugnano le armi contro le forze di occupazione.

Poi quella bomba che nel 2007 rischia di distruggergli casa, e la sua famiglia che si rifugia terrorizzata nell’abitazione dello zio.

Ma il riscaldamento è rimasto acceso. E Karim, l’unico fratello di Zaid ancora vivo, corre a spegnerlo. Dopo neanche trenta metri viene freddato da un cecchino americano.

Per le strade la situazione è così pericolosa che il corpo senza vita di Karim resta sull’asfalto sino all’alba del giorno seguente: un dramma che si somma allo shock.

Sarà in seguito a questa seconda perdita che Zaid si unirà alla resistenza contro gli americani, per fermare quello che stava diventando un vero “massacro” di civili inermi.

Nel raccontare la storia di Zaid, l’autore confessa: “Non siamo mai stati grandi amici, anche perché io credo nella nonviolenza predicata da Martin Luther King e Gandhi. Ciononostante, è stato facile intuire le ragioni della sua scelta”.

 

L’AUTORE E IL SUO PENSIERO

Jürgen Todenhöfer è uno scrittore, ex-parlamentare e professore di diritto internazionale. Ma è soprattutto noto all’opinione pubblica tedesca come uno dei più autorevoli oppositori alla guerra in Afghanistan e Iraq.

Nel suo libro racconta “la vera storia della resistenza irachena che i media occidentali non hanno avuto il coraggio di narrare”.

Perché Jürgen ha visitato il paese più volte, e la sua opera è frutto di un lavoro ‘sul campo’. Durante il suo soggiorno nella provincia di Ramadi, lo scrittore si è confrontato con le difficoltà che le famiglie continuano a dover affrontare quotidianamente.

Dall’elettricità che va a singhiozzo ai bombardamenti, o ancora alla necessità di dormire all’aperto quando il caldo diventa insopportabile.

Parlando del tempo trascorso in Iraq, Jürgen fa un lungo elenco delle cose che non riuscirà mai a dimenticare: “le case distrutte, le ispezioni continue della polizia, i checkpoint, la miseria in cui vivono le persone e il dramma delle madri che hanno perso i propri figli durante il conflitto”.

Lui è uno dei pochi che ‘sul campo’ c’è stato davvero, e ha vissuto in prima persona l’insicurezza e la violenza degli anni dell’occupazione: “La gran parte delle persone che parlano di Iraq e Afghanistan non ci hanno mai vissuto” ribadisce l’autore, che sottolinea: “Non c’è un solo politico occidentale che abbia trascorso almeno una settimana a casa di una famiglia del posto. I nostri ‘rappresentanti’ volano in questi paesi, fanno conferenze stampa e tornano indietro”.

Jürgen critica fermamente i media occidentali, “colpevoli – a suo dire – di dipingere il mondo arabo-musulmano in maniera distorta”.

“Quando ne parlano – afferma – è per metterne in risalto la presunta ‘violenza’ senza prendere in considerazione i crimini commessi dall’Occidente”. “Al-Qaeda – aggiunge – è senza dubbio un’organizzazione terroristica che in venti anni si è resa responsabile della morte di 5000 civili, ma il governo americano ha ucciso centinaia di migliaia di cittadini iracheni”.

Il problema principale, dunque, “non è la violenza di matrice islamica, ma l’aggressione dei paesi occidentali contro Stati come l’Afghanistan e l’Iraq”.

Secondo Jürgen l’islamofobia è ormai parte integrante non solo della politica tedesca ma anche di quella olandese e americana.

In “Perché uccidi, Zaid?”, l’autore racconta come durante l’occupazione la resistenza non abbia combattuto solo gli americani e i loro alleati, ma anche le milizie dei potenti politici locali: “Nel 2008 c’erano circa 100 mila combattenti che lottavano per la libertà e non uccidevano civili”.

Una resistenza che “va distinta da al-Qaeda, che invece resta un’organizzazione di ‘assassini’ composta da non più di 1000 membri, per la maggior parte non iracheni”, sulla quale conviene “tenere i riflettori puntati per giustificare l’occupazione”.
 

Il ricavato dai diritti del libro è stato devoluto per acquistare medicinali destinati ai tanti rifugiati e sfollati iracheni, e per finanziare un progetto di riconciliazione israelo-palestinese.

 

This article was originally published by: Osservatorio Iraq – Medioriente e Nordafrica

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *