Egitto. Non solo calcio: gli Ultras da tifoseria ad attore politico

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La scorsa settimana Port Said è tornata ad essere l’epicentro di nuove proteste. Nonostante lo stato di emergenza imposto da Morsi, i cittadini sono scesi in piazza, sfidando il coprifuoco. Al centro della mobilitazione, gli ultras del club calcistico locale, il Masry.

 

I manifestanti contestano all’attuale governo non solo di aver marginalizzato la città ma anche di averne fatto un ‘capro espiatorio’. Dopo essersi uniti ai lavoratori, hanno bloccato le attività di molte fabbriche intorno al Canale di Suez, snodo economico di estrema importanza per l’economia egiziana.

 

GLI ULTRAS E L’IMPEGNO POLITICO

Circa un mese fa, gli ultras sono scesi in piazza in tutte le principali città egiziane per commemorare il secondo anniversario della caduta del regime. In questa occasione, la Fratellanza ha chiarito che il governo Morsi è molto preoccupato dalla ‘politicizzazione’ delle tifoserie e incoraggia i media e i partiti politici a non incitarli verso “comportamenti sovversivi e all’uso della violenza”.

Tuttavia la loro centralità nelle manifestazioni di piazza è un fatto noto. 

Sin dall’inizio della ‘Primavera araba’, gli ultras hanno giocato un ruolo fondamentale negli scontri come per esempio nella famosa ‘battaglia dei cammelli’. Anche dopo i fatidici diciotto giorni che hanno preceduto la caduta del regime, hanno continuato a stare a fianco dei manifestanti durante tutto l’interregno militare dello SCAF. Per esempio, si sono distinti in episodi piuttosto sanguinosi come la battaglia di Mohammed Mahmud Street.

Il 2 febbraio 2012, in seguito alla partita di calcio Ahly contro Masry, le due tifoserie si sono scontrate causando incidenti che hanno ucciso settantaquattro persone, per la maggior parte ultras dell’Ahly (detti anche Ahlawy). 

Secondo alcuni testimoni oculari, le forze dell’ordine non sono intervenute e, per di più, durante i tafferugli le luci dello stadio sono state ‘misteriosamente’ spente e le porte sbarrate.

In virtù del ruolo giocato dagli ultras dell’Ahly nelle proteste contro il regime di Mubarak, molti hanno ipotizzato che, dietro alla violenza, vi fosse la mano del governo e la volontà di punire chi era stato in prima linea durante le manifestazioni. La storia del movimento Ultras

Il movimento degli ‘ultras’ nasce on-line nel 2005 ed inizialmente, prende vita intorno ai due principali club calcistici cairoti: Ahly e Zamalek. I giovani egiziani delle periferie (molto spesso intorno ai vent’anni) ne sono protagonisti assoluti, con una partecipazione femminile praticamente inesistente.

All’interno di questo “movimento”, non ci sono correnti di stampo ideologico (sul modello degli ultras europei) ma a fare da collante è l’opposizione alla repressione delle forze dell’ordine ed alla corruzione del sistema giudiziario.

Assolutamente ‘indipendenti’ rispetto alla dirigenza dei club calcistici, gli ultras si identificano con una vera e propria sub-cultura che, a livello musicale, trova espressione in un genere ibrido, nato dalla contaminazione fra hip hop e melodie arabe.

Gli scontri fra ‘tifoseria’ e polizia egiziana hanno inizio nel 2009 con l’arresto di alcuni ultras per aver tentato di aprire uno striscione pro-Palestina che condannava l’invasione israeliana di Gaza.

Da allora le forze dell’ordine hanno cercato di mettere a tacere questo movimento in tutti i modi, spesso ricorrendo all’intimidazione e alla violenza. Non di rado decine di ultras sono stati arrestati alla vigilia di un’importante evento calcistico per poi essere rilasciati il giorno successivo al match.

L’esperienza maturata in anni di scontri con le forze dell’ordine è stata una delle ‘risorse’ che ha reso gli ultras protagonisti della ‘Primavera egiziana’, ponendoli sempre in prima linea durante le proteste con un gran numero di vittime e feriti gravi.

Secondo Carlo Rommel (dottorando alla SOAS), mentre alcuni attivisti li idealizzano per il ruolo avuto durante i 18 giorni precedenti alla caduta del regime, altri li guardano con diffidenza, giudicandoli privi di una coscienza politica.

Ciononostante è innegabile che siano una parte estremamente significativa del ‘fronte rivoluzionario’ nazionale.

Secondo il blogger James Dorsey, gli ultras sono stati la prima ‘organizzazione’ che ha osato sfidare la polizia egiziana sotto Mubarak e questo ha permesso ad un gran numero di giovani poveri, arrabbiati e senza troppa speranza nel futuro di aderire al loro progetto. Come il movimento dei lavoratori ha opposto resistenza al governo Mubarak nelle fabbriche, gli ultras lo hanno fatto negli stadi, entrambi nel tentativo di strappare lo spazio pubblico alla repressione e al controllo del regime.

Oggi, gli ultras sono presenti in tutte le principali piattaforme virtuali e le loro pagine Facebook e Twitter sono seguite da migliaia di fan.

“La nostra battaglia per ottenere giustizia è in atto e continuerà finché tutti i poliziotti e militari che hanno commesso degli abusi contro di noi saranno  processati”, ha dichiarato in un’intervista ad al-Ahram Said, uno dei capi degli ultras Ahlawy.

Per ora i ‘tifosi’ continuano a ‘difendere’ la rivoluzione sul campo a colpi di molotov, ma fare previsioni sull’esito della ‘transizione’ egiziana è difficile, così come è difficile immaginare il posto che gli ultras prenderanno nel futuro sistema politico del paese.

Inoltre, secondo Mohamed Gamal Basheer (autore di ‘gli ultras e la rivoluzione egiziana’), il fenomeno delle tifoserie politicizzate non è una prerogativa solo egiziana. In base alla sua ricostruzione, l’idea della tifoseria calcistica organizzata compare nel mondo arabo negli anni settanta.

All’inizio i gruppi erano molto legati alla dirigenza dei club ma gradualmente si sono resi indipendenti. Il primo ‘nucleo’ ultras del mondo arabo nasce in Libia nel 1989 ma viene sciolto da Gheddafi solo dopo due settimane.

Nel 1990 gli ultras fanno una breve apparizione in Tunisia, per poi prendere piede in Marocco (nel 2005) e in Algeria (nel 2007).

E come dimostra il caso egiziano, non di solo calcio si tratta. Gli ultras infatti, anche se privi di un programma dettagliato, sono ormai diventati a tutti gli effetti un attore politico di primo piano.

Piuttosto che incarnare un’ideologia definita, esprimono il ‘malessere diffuso’ di una generazione e hanno un ruolo importante nella transizione verso la democrazia.

 

This article was published originally in: Osservatorio Iraq – Medioriente e Nordafrica

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