Yemen. Sempre più minori nel braccio della morte

Dopo la deposizione dell’ex-dittatore, nel paese continuano le violazioni dei diritti umani. Da domenica 27 gennaio, 77 detenuti sono in sciopero della fame nella prigione centrale di Sana’a.

 

La protesta è iniziata dopo che un giudice ha condannato a morte Nadim Al-‘Azaazi, per un crimine commesso all’età di quindici anni.

I prigionieri hanno anche compilato una lista di richieste indirizzate al governo. Una lista scritta a mano e firmata da 66 detenuti e resa poi pubblica da Amnesty International: “L’applicazione della pena di morte ai minorenni è vietata sia dal codice penale yemenita sia dal diritto internazionale. Le autorità devono farsi carico delle loro responsabilità giuridiche e annullare immediatamente la sentenza”, ha dichiarato Philip Luther, direttore per il Medio Oriente e il Nord Africa.

Tra i trattati firmati dallo Yemen, la Convenzione dell’Onu sui diritti del fanciullo e il Patto internazionale sui diritti civili e politici: due documenti cruciali che vietano l’esecuzione capitale per i reati commessi dai minorenni.

 

LE RICHIESTE DEI DETENUTI

I detenuti del carcere minorile sospenderanno lo sciopero della fame solo quando tutte le condanne a morte a carico di minorenni verranno annullate, compresa quella di Nadim.

Nella lista indirizzata al governo, oltre alle rivendicazioni di una serie di diritti e tutele, i detenuti puntano il dito sulla corruzione dilagante all’interno delle strutture carcerarie del paese.

Così come lanciano un appello affinché i processi diventino rapidi ed efficienti, onde evitare i molti i casi in cui i ragazzi rimangono in cella anche per più di tre anni in attesa di un processo, che spesso si concluderà con il loro rilascio.

I detenuti propongono inoltre la revisione delle condanne inflitte per reati non gravi e il diritto dell’imputato a scegliere liberamente il proprio legale.

Chiedono infine che i tribunali diano mandato ai medici di accertare la reale età delle persone sottoposte a processo attraverso i nuovi metodi che la tecnologia mette a disposizione. Anche perché nello Yemen non vengono registrate quasi l’80% delle nascite, in parte a causa dell’alto costo dell’operazione.

Ciò significa che la maggioranza dei giovani che finiscono in carcere non è in possesso di documenti ufficiali che ne certifichino l’identità.

La protesta è finalizzata a fare luce sulle condizioni disumane in cui vivono i minori nei centri di detenzione: nel documento si fa infatti riferimento all’assenza di spazio e allo stato deplorevole delle celle, dove spesso mancano le finestre e a volte persino i letti. E alla possibilità di vedere i propri cari, con il trasferimento in un carcere più vicino alla propria casa.

Secondo Amnesty International, i detenuti che si trovano nei carceri minorili del paese sono spesso costretti a rimanere in prigione anche oltre i termini della loro condanna. Ciò avviene, per esempio, perché non riescono a pagare le “sanzioni pecuniarie” decise dai tribunali.

Intanto le esecuzioni capitali continuano, e lo scorso 3 dicembre è stata la volta di una quindicenne, Hind el-Barti, accusata dell’omicidio di una coetanea e giustiziata da un plotone di esecuzione.

Secondo alcune ricerche commissionate dall’Onu, tra il 2006 e il 2010 sono state 14 le condanne a morte a carico di minorenni: “Non siamo solo indignati perché continuano ad essere giustiziati in violazione del diritto internazionale, ma siamo anche profondamente preoccupati perché il numero di condanne contro i ragazzi è in deciso aumento”, osserva Zermatten, presidente del comitato delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo.

Anche l’Unione Europea si è unita al coro delle proteste, con un appello del febbraio 2010 contro l’esecuzione di Muhammed Taher Tabhet Samoum e di Fuad Ahmed Ali Abdulla, due giovani condannati a morte per crimini commessi quando avevano meno di 18 anni.

L’Ue ha chiesto alle autorità yemenite una moratoria della pena di morte per i minorenni e la garanzia di un sistema affidabile di certificati di nascita e di servizi atti ad accertare l’età del detenuto nel caso in cui i documenti non siano disponibili.

 

LA TRANSIZIONE E I DIRITTI UMANI

Secondo Human Rights Watch, in questa fase di transizione, il governo di Abdu Rabu Mansur Hadi dovrebbe impegnarsi a trovare delle soluzioni per le numerose violazioni dei diritti umani praticate nel paese, soprattutto quelle sui più piccoli.

Fra le questioni spinose che l’esecutivo è chiamato affrontare, le detenzioni arbitrarie, l’impiego di soldati-bambini, gli attacchi alla libertà d’espressione e la verità sulle vittime delle proteste del 2011.

“I minorenni hanno avuto un ruolo centrale nelle proteste del 2011, ma hanno anche sofferto molto durante il conflitto”, spiega Priyanka Motaparthy, ricercatrice di HRW.

In base alle stime dell’Unicef, 94 tra bambini e adolescenti sono rimasti uccisi e 240 feriti durante gli scontri.

Molte organizzazioni internazionali e Ong locali hanno infatti accusato le varie fazioni politiche di ‘strumentalizzare’ la presenza dei minori durante le manifestazioni, esponendoli – senza la loro piena consapevolezza – a dei rischi enormi.

Inoltre, sia le forze governative che i movimenti di opposizione hanno occupato diverse scuole, trasformandole in obiettivi militari e mettendo a rischio la vita di migliaia di giovani studenti.

Durante i mesi che hanno preceduto la “cacciata” dell’ex-dittatore, molti istituti scolastici sono stati usati come basi e postazioni da cui aprire il fuoco, e hanno addirittura ospitato dei prigionieri.

Se lo Yemen era già in fondo alla classifica “mediorientale” nei livelli d’istruzione, dopo il 2011 il tasso di abbandono scolastico ha subìto un’impennata, soprattutto tra le ragazze.

 

This article has been originally published by: Osservatorio Iraq – Medioriente e Nordafrica

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